Il lavoro dell’assistente sociale è particolarmente sottoposto ad un alto rischio di stress perchè comporta uno straordinario carico emozionale. E lo stress causa problemi di salute sia fisica sia mentale.
Il termine burnout significa bruciarsi ed è una tipologia di disagio psicofisico che interessa gli operatori che svolgono attività che implicano le relazioni interpersonali.
È una malattia in costante aumento tra i lavoratori dei paesi occidentali perché si sono verificati dei cambiamenti significativi sia nei posti di lavoro sia nel modo in cui si lavora.
L’assistente sociale, è uno dei soggetti più esposti alla sindrome del burnout proprio perché
- è in continuo contatto con utenti vulnerabili e con problematiche varie;
- ci sono poche risorse presenti;
- i carichi di lavoro sono in costante aumento;
- è alto il rischio di responsabilità personale e professionale.
La professione dell’assistente sociale è esposta ad un alto stress lavorativo, e quindi al burnout e spesso anche alle violenze in ambito lavorativo.
Vediamo che cosa si intende per burnout…
Caratteristiche del fenomeno
Il termine è apparso la prima volta nel 1930, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di continuare ad ottenere ulteriori risultati o di mantenere quelli acquisiti.
È un insieme di manifestazioni psicologiche e comportamentali che possono insorgere in professionisti che operano prevalentemente in ambito sociale e che si prendono cura degli altri. Questa sindrome è determinata da una situazione di forte stress in cui l’operatore si sente frustato e deluso dal mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Nasce proprio dalla discrepanza tra come il lavoro dovrebbe essere e come realmente è. |
L’operatore non riesce a gestire il carico di lavoro, si sente impotente e sente il peso delle problematiche dell’altro. Capita infatti che alcuni professionisti si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone in carico. I soggetti interessati iniziano a sviluppare un processo di decadenza psicofisica per la mancanza di energie e di capacità a sostenere lo stress accumulato.
Nel 1975 il termine è stato utilizzato dalla psichiatra C. Maslach che definisce il burnout come la sindrome da esaurimento emotivo, da depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione si occupano della gente.
Le fasi
Lo sviluppo della sindrome segue quattro fasi.
- La prima fase detta di entusiasmo idealistico, è caratterizzata è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.
- Nella seconda fase detta di stagnazione, l’operatore, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L’entusiasmo inizia a diminuire.
- Nella terza fase, di frustrazione, il soggetto pensa di non essere in grado di aiutare gli altri, si sente inutile, frustato e non apprezzato. Spesso può mettere in atto comportamenti di fuga dall’ambiente lavorativo come pause prolungate o assenze per malattia.
- Nel corso della quarta fase, di apatia, l’interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e subentra l’indifferenza, fino ad una vera e propria “morte professionale”.
Quali sono le cause?
- sovraccarico di lavoro
- mancanza di controllo
- gratificazioni insufficienti
- crollo del senso di appartenenza
- assenza di equità
- valori contrastanti
- scarsa remunerazione
Quali sono i sintomi?
Il soggetto colpito da burnout manifesta sintomi come senso di stanchezza, apatia, nervosismo, insonnia, ma anche sintomi somatici (tachicardia, mal di testa, nausea, disturbi gastrointestinali) e sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, sensazione di fallimento, rabbia, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, isolamento, rigidità di pensiero, resistenza al cambiamento, conflitti con i colleghi e gli utenti, cinismo). Questa situazione di disagio spesso porta il soggetto ad abusare di alcool o di farmaci.
Come prevenire la sindrome di burnout dell’assistente sociale?
L’assistente sociale durante il suo lavoro rischia di andare incontro al burnout; per questo è fondamentale la supervisione professionale. Essa è un momento in cui ci si verifica come professionisti.
Può essere individuale, ma spesso avviene in ambito gruppale. L’importante è che il supervisore sia esterno all’organizzazione in cui si lavora. La supervisione non è un controllo sui collaboratori e sul loro stato di salute e non è neanche un momento di psicoterapia di gruppo. È un momento di riflessione sui rapporti con gli utenti e con i colleghi, sui problemi presenti, sugli interventi adottati.
La supervisione è un momento legato alla crescita professionale e personale. Ogni operatore è chiamato infatti a fare un bilancio del proprio percorso professionale, ad illustrare i problemi emersi e a cercare di comprendere, insieme agli altri colleghi e al supervisore, fino a che punto questi problemi dipendano da se stessi o dall’organizzazione. La supervisione favorisce l’apertura di più punti di vista, utili per attuare interventi più adeguati.
[…] anche per ogni altra professione che opera in ambito sociale e si prende cura dell’altro, il rischio di burnout è molto alto. E’ molto importante stare attenti a non lasciarsi coinvolgere eccessivamente […]